Confronto con Salvatore Natoli
La conferenza di Salvatore Natoli, con cui io mi sono confrontato “analizza” la fiducia sotto molti aspetti. Parla di come è costitutiva e allo stesso tempo costituente della comunità, ne parla in relazione ai sistemi, complessi e semplici, in relazione alla società e alla famiglia. Parla della fiducia come stato che si gioca sul tempo, futuro, caratterizzato dalla improbabilità e passato. Possiamo dare fiducia perché l’abbiamo appresa, perché siamo vissuti in una condizione di fiducia, dove l’affidamento non è stato un atto di volontà, ma i nostri genitori ci hanno protetto senza che lo chiedessimo, l’amore dei nostri genitori, che scaturisce la fiducia, ci ha preso in custodia. Dunque se non c’è amore non c’è questa anticipazione di dono.
Questa tra le tante cose che ha detto mi ha suscitato per prima un certo interesse, poiché non sempre chi decide, più o meno consciamente, di mettere al mondo un bambino, lo prende in custodia, non sempre si nasce nell’amore che è custodia. Molti tra i ragazzi, ma ancor di più ho notato tra le ragazze, che conosco e che si trovano in affido a qualche comunità o in adozione a qualche famiglia, avanzano grandi difficoltà a fidarsi delle persone, degli amici, della famiglia affidataria o adottiva che sia. In base alla mia seppur limitata esperienza di cinque anni in questo mondo, come figlio naturale facente parte di una comunità di tipo familiare e da prima come figlio naturale in una famiglia affidataria, ho ragione di credere, basandosi esclusivamente sulla mia esperienza pratica, che questa sfiducia come posizione nel modo, di queste ragazze e ragazzi sia dovuta all’amore che è venuto a mancare nell’atto del loro concepimento e in seguito alla noncuranza o impossibilità, per un motivo o per un’altro, di prendere in custodia il figlio, come dice Salvatore Natoli: «chi ci ha donato la vita si è impegnato a custodirla»¹, o almeno dovrebbe. Un libro che ho letto recentemente del pedagogista Daniele Bruzzone, «La Vita Emotiva»², spiega di quanto sia importante e benefico per il bambino passare i primi giorni di vita vicino alla mamma. E di come, così facendo, si riducono drasticamente le possibilità che la madre, in futuro, maltratti il bambino.
Ad aggravare questa situazione, sempre a partire dalla mia personale esperienza, c’è la “sfiducia” o meglio diffidenza da parte delle famiglie affidatarie o adottive nei confronti degli affidi o delle adozioni, dovuta a mio parere dalla scarsa conoscenza del ragazzo o ragazza, che venendo da situazioni “particolari”, spesso da contesti che non si possono nemmeno definire familiari, faticano, almeno il primo periodo, che richiede un adeguamento da parte della famiglia ospitante alle tradizioni e abitudini del ragazzo o della ragazza e a sua volta un adeguamento del ragazzo ai modi e le regole della famiglia, ad integrarsi. Nonostante questa totale o parziale che sia, mancanza di amore, di custodia, di fiducia da parte dei genitori nei confronti del figlio, che io definirei come una vera e propria violenza nei confronti del bambino, ho notato che a volte, pur trovandosi bene nella famiglia affidataria, preferiscono tornare dalla famiglia di origine. Questa forza che li porta a provare ad instaurare, sanare, il rapporto con la famiglia di origine penso sia la “forza” della “vita” che irrompe e trascende da ogni giustificazione. Citando le parole di Natoli «siamo portati alla fiducia perché l’eccesso di sfiducia fa morire, siccome la vita vuole se stessa, fa un salto anche senza giustificazione»³.
Il secondo concetto lo vorrei esprimere proprio riguardo quest’ultima cosa detta, la vita vuole se stessa. A parer mio è una frase “potente”, l’amore che è vita, vince la morte. Qui si potrebbe aprire un dibattito interessante per cercare di capire se questo dare fiducia, affidarsi, a qualcuno senza che ci siano i presupposti per farlo sia o meno solo istinto di sopravvivenza. Se il “soggetto”, ragazzo o ragazza volendo tornare a quello espresso precedentemente, compie questo atto di fiducia nei confronti della sua famiglia, in modo più o meno conscio, per scampare alla morte, poiché l’animale, che è l’uomo, è nato per dare la vita e solo vivendo può assolvere a questo compito.
L’amore che è vita, vince la morte, a me da cristiano cattolico che sono, formulando questa frase viene in mente un grande gesto d’amore, che ha vinto la morte, la crocifissione di Gesù Cristo. E poichè io credo che la morte sia il più grande gesto d’amore che esista, donare tutto se stessi all’altro, che di conseguenza scaturisce la più grande “forma” di fiducia, quella incondizionata, che suppone che colui in cui si ha fiducia sia in assoluto credibile, e chi più credibile di un padre e di una madre che ti hanno messo al mondo. Solo Dio.
E parlando di fiducia come forma lascio intendere che ne possano esistere svariati tipi, infatti credo che il soggetto al quale ci si affida determini la “qualità”, intesa come “forza”, del legame stesso. Ma per poter esprimere a pieno questo concetto, e svilupparlo a dovere, ci sarebbe bisogno di un libro intero e una preparazione più accurata di quella di cui dispongo adesso.
¹ Salvatore Natoli, Salvatore Natoli | Fiducia | festivalfilosofia 2009. YouTube 4/12/2019
² Daniele Bruzzone, La vita emotiva. 2022
³ S. Natoli, Salvatore Natoli | Fiducia… YouTube 4/12/2019

Lascia un commento